Nel corridoio cieco del Ministero
l’aria sa di toner e di preghiera strozzata;
una stampante tossisce numeri infetti
mentre l’impiegato—scheletro in cravatta—
corregge l’invisibile margine della sua ombra.
Fuori, il traffico mima un corteo funebre
per lo spirito d’un passante senza nome.
La città digita sogni su touch screen spenti,
le voci si parlano in bluetooth,
gli occhi si scansano come rottami.
Lei, nel metrò, mangia un’arancia
come un atto proibito, un rosario d’acido:
la buccia, arrotolata, si trasforma
in una spirale galattica d’assenza.
La notte ha il gusto
d’un’autenticazione fallita.
Nel frigo, lo yogurt scaduto
sussurra segreti sul tempo e la carne.
T’amo solo quando il Wi-Fi muore,
quando il cielo dimentica la sua password,
e respirare diventa
l’unica forma di resistenza.
Lì—tra la carta igienica e i mitochondri—
ho trovato Dio: cercava lavoro.
—Don Spruzzo di Rima