Dentro il corridoio cieco
della posta — tra l’erba finta
dei moduli e le soglie smalate —
una tastiera silenziosa guida
le dita verso un’assenza digitale.
Il volto in plastica del funzionario
s’incrina a ore pasti.
Dietro il plexiglass trema
un’eco stanca d’infanzia o pubblicità:
“Semplificazione!” — sibila lo schermo —
con la voce di Papà Natale.
La signora col cane finto
parla con Siri, scambia
la sua ira con un codice CAPTCHA,
Dentro il suo borsello vibra
una notificazione d’amore.
Anch’io attendo —
non una lettera, ma un varco,
una crepa nella cella opaca
della realtà condivisa.
Luce a LED:
mi chiama per nome l’algoritmo errato.
Poi ti vedo. Tu,
con la mascherina mal messa,
gli occhi che hanno ancora
il Salento riflesso nella retina VPN.
Ti seguo. Ma sei solo
una pubblicità per libertà
stampata male sul retro di una ricevuta.
— Il mondo finì quando accettammo “Cookie”.
Don Spruzzo di Rima