Il silenzio del reale: Una critica approfondita a “Frammenti di un’estinzione” di Clara Ventresca
Pubblicato nel febbraio 2024 da Einaudi, l’ultimo romanzo-saggio di Clara Ventresca, intitolato “Frammenti di un’estinzione”, rappresenta un significativo intervento nel panorama letterario italiano con aspirazioni filosofiche e speculative. Ambientato in un’Italia post-climatica, il testo si presenta come un’opera ibrida che fonde racconto distopico, riflessione ecologista e teoria del tempo. Ventresca, già nota per le sue precedenti esplorazioni della soggettività femminile in contesti ultrarealistici, abbandona in questa opera i toni intimistici per inoltrarsi nei meandri del collasso epistemico e del disfacimento ontologico dell’umano.
Il volume si articola in sette capitoli non numerati, o meglio “frammenti”, ognuno dei quali prende la forma di un diario, una testimonianza, o una meditazione, datata in un futuro prossimo indefinito. La protagonista anonima del libro — probabilmente un alter ego della stessa autrice — si muove attraverso un paesaggio desolato, dove l’estinzione non è solo biologica, ma semantica, linguistica, affettiva. L’opacità del reale è il vero antagonista del testo: non un’entità, bensì la progressiva saturazione del mondo di simulacri incapaci di significare.
Il tema centrale su cui si fonda l’opera è chiaramente dichiarato nel secondo frammento: “Non ci siamo estinti perché siamo morti; ci siamo estinti perché abbiamo smesso di ascoltare la differenza tra il proprio linguaggio e quello del mondo.” Da qui si dipana una riflessione sulla perdita di rapporto con l’alterità — sia ambientale, sia ontologica — all’interno di un sistema culturale fondato sull’identico e sulla reiterazione. L’estinzione dunque non come catastrofe, ma come esito inevitabile di un’accumulazione di silenzi, di cecità, di astrazioni.
Lo stile della Ventresca è ascetico e pulsante a un tempo. Il linguaggio è profondamente lirico, talvolta quasi profetico, ma sempre controllato da una severità logica che ne impedisce la deriva nell’autoindulgenza retorica. Si nota una precisa lavorazione lessicale, una riduzione essenziale della frase che conferisce densità poetica senza sacrificare il pensiero. Le immagini naturali — alberi, cieli, detriti marini, resti fossili — sono veicolo semantico privilegiato, mai decorative. L’assenza di un intreccio narrativo coerente è qui una precisa scelta estetica: il disordine strutturale simula e insieme denuncia l’entropia del mondo rappresentato.
In termini di struttura, il libro si avvicina più alla frammentazione benjaminiana che alla linearità romanzesca tradizionale. Ogni frammento potrebbe stare in piedi da solo, ma la loro disposizione rivela una pensata strategia ritmica, come movimenti di una sonata atonale. C’è un uso sapiente delle cesure temporali, dei silenzi, delle ellissi narrative che obbligano il lettore a ricostruire non tanto una storia quanto un campo semantico in rovina.
Nonostante la natura profondamente italiana del contesto (paesaggi dell’Appennino, ruderi urbani riconducibili a città medie come Terni o Pescara), il libro ha trovato una curiosa eco nella critica tedesca, soprattutto nell’ambito delle riviste filosofiche come Die Zeit Philosophie e Merkur. Il filosofo ambientalista Matthias Graebner ha scritto: “Clara Ventresca ha realizzato un raro equilibrio tra sensibilità narratologica e rigore teorico: il suo libro riesce a dire il non-dicibile dell’attuale antropocene.”¹ Particolare successo ha avuto presso il pubblico tedesco l’idea che il linguaggio stesso possa diventare organo critico dell’ecocidio, superando i limiti delle rappresentazioni “a tema” solitamente offerte dalla climate fiction.
Non mancano tuttavia voci critiche. In un articolo sul Frankfurter Allgemeine Zeitung, la scrittrice e saggista Petra Kolmann ha espresso dubbi sulla leggibilità del testo, giudicato “a tratti inutilmente oscuro e asfittico”.² Tuttavia queste critiche, pur legittime, sembrano non cogliere la precisa volontà dell’autrice di sottrarsi all’addomesticamento divulgativo dell’engagement letterario. Ventresca non offre soluzioni, consolazioni, o personaggi esemplari: al contrario, costruisce un anti-mondo dove ogni tentativo empatico si imbatterà nel gelo dell’ineffabile.
Il confronto con altre opere contemporanee permette di delineare meglio l’unicità del libro. In Italia, forse solo il recente “Massa e ascesi” di Paolo Zangrandi si avvicina alla tensione speculativa della Ventresca, sebbene con un orientamento più sociologico. A livello internazionale, “Frammenti di un’estinzione” entra in dialogo con i testi della canadese Anne Carson — specialmente “Red Doc>” e la sua prosa frantumata — ma si distingue per una più marcata inquietudine metafisica. Si può parlare anche di un’ascendenza da J.M. Coetzee, echi dell’ermetismo di “Elizabeth Costello”, ma il pathos del reale sostituisce ogni volontà di riflessione etica formalizzata.
Dal punto di vista critico, i punti di forza del libro sono numerosi. Innanzitutto la capacità di mantenere intatta la coerenza filosofica senza intaccare la pregnanza simbolica. La Ventresca manipola il tempo e lo spazio non come mere coordinate narrative, ma come oggetti teorici: il tempo diviene complicità ontologica con l’estinzione, lo spazio si riduce a disegno topologico di una mente in crisi. Notevole è anche l’assenza di riferimenti espliciti alla cultura umanista europea: il libro costruisce una sorta di barbarie auratica, una lingua del dopo, completamente slegata da genealogie o eredità culturali.
Tra le debolezze, bisogna annoverare una certa ridondanza nel registro poetico: alcune immagini si ripetono senza apportare nuove dimensioni semantiche, rischiando di appiattire l’effetto straniante del testo. Inoltre, la scelta della frammentarietà — in sé potentemente eloquente — potrebbe limitare la fruizione collettiva del testo, confinandolo in una dimensione elitaria. Questa stessa limitazione è però ciò che autorizza il libro a esistere come gesto radicale, come tentativo di delineare un al di qua del linguaggio che non cede al pragmatismo dell’efficacia.
In conclusione, “Frammenti di un’estinzione” si ritaglia un posto significativo nella letteratura italiana contemporanea, non tanto per le sue qualità narrative, quanto per l’ardita ambizione di tracciare un’estetica della fine non rassegnata. Pur nato in un contesto editoriale spesso refrattario alla sperimentazione, il libro impone una ridefinizione del romanzo-saggio come forma e come esigenza. La sua eredità, se accolta, potrebbe aprire nuove strade al pensiero letterario post-antropocentrico. Un’opera che non chiede di essere amata, ma decifrata con la lente della scomparsa.
A cura del Monaco del Libro – Dipartimento di Filosofia del Monastero della Falena Lunare
linguaggio, ecologia, ontologia negativa, dissoluzione, frammentazione, tempo, estinzione
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¹ Graebner, M. (2024). “Estetica del collasso”. Merkur.
² Kolmann, P. (2024). “Letture apocalittiche”. Frankfurter Allgemeine Zeitung, marzo 2024.