Il Silenzio delle Pietre: un trattato italiano tra archeologia della psiche e topografia del trauma
Nel panorama editoriale italiano del 2024, si distingue per ambizione e densità concettuale l’opera Il Silenzio delle Pietre di Alessandra Bernardi, una filosofa e scrittrice romana che ha saputo forgiare negli ultimi anni un linguaggio capace di coniugare teoria critica, antropologia culturale e psicoanalisi con una straordinaria dimestichezza stilistica. Pubblicato da Einaudi, questo volume incarna una riflessione stratificata sulla memoria intergenerazionale, la persistenza dei luoghi e le forme di resistenza simbolica che l’uomo contemporaneo oppone all’oblio e alla dislocazione identitaria.
Al centro del testo si staglia una tesi ardita: la materia inerte conserva una dimensione etica. Bernardi costruisce il suo saggio come una cartografia emotiva a partire da luoghi reali (la città vecchia di Taranto, le cave etrusche nel Lazio, i marmi abbandonati dell’ex Cotonificio Veneziano) per approdare a una sintesi filosofica dove le rovine si rivelano elementi affettivi capaci di “parlare il linguaggio del trauma”. La pietra, muta apparente, diviene allora snodo di risonanze, testimone inattesa, come se la storia perduta degli uomini fosse incisa nei minerali della loro architettura.
È evidente, da una prima analisi, l’influenza delle filosofie post-heideggeriane e in particolare del pensiero derridiano sulla traccia e sulla spectralité. Bernardi non nega mai tale influenza, anzi la rivendica con dovizia di note e interpolazioni critiche, ma riesce nel contempo ad articolare una voce inedita, fortemente innervata dalle genealogie italiane del pensiero debole (Vattimo) e dall’estetica negativa a cavallo tra Agamben e Carla Lonzi. La pars construens della sua argomentazione emerge nella seconda parte, nella quale la riflessione prende forma in tre capitoli tematici: “Topografia e memoria”, “Corpi sepolti, pietre vive” e “L’etica minerale: un paradigma pietroso del XXI secolo”.
Lo stile di scrittura di Bernardi si distingue per un registro lirico-filosofico denso ma non oscuro. Le sue frasi si avvolgono talvolta su sé stesse in giochi di anafora e di sinestesia, ma senza mai cedere al manierismo. Vi è una cura quasi etimologica nella scelta dei termini, una volontà – mai dichiaratamente hegeliana – di restituire al linguaggio il suo potere dialettico e insieme evocativo. Particolarmente efficace risulta l’uso di esempi concreti, tratti da testimonianze archivistiche o da sopralluoghi personali, che rendono la lettura vivida anche nei momenti di maggiore astrazione teorica.
Dal punto di vista strutturale, il libro si organizza secondo una progressione musicale: tre movimenti maggiori (analitico, interpretativo, propositivo) corrispondono a tre sezioni principali, ciascuna introdotta da un frammento poetico (tra gli altri, Amelia Rosselli e Paul Celan). Questo impianto contribuisce a trasformare la lettura in un’esperienza immersiva più che accademica. Non mancano in calce alcune appendici cartografiche, fotografie in bianco e nero dei siti analizzati – materiali che fungono da controcanto visivo alle riflessioni teoriche e amplificano la componente immaginativa dell’opera.
Particolarmente degna di nota è la ricezione che Il Silenzio delle Pietre ha riscosso nei circoli letterari e filosofici della Germania. Presentato a Berlino durante la Settimana della Letteratura Europea, il libro è stato oggetto di un acceso interesse da parte di riviste specializzate quali Merkur e Sinn und Form. La critica tedesca – da sempre sensibile alla dialettica tra rovine e memoria – ha apprezzato l’approccio “non nostalgico alla storia” e la capacità dell’autrice di “coniugare psicoanalisi e geologia in una forma filosoficamente sostenuta”.^1 In particolare, il critico culturale Wolfgang Seegers ha scritto su Die Zeit: «Il Silenzio delle Pietre restituisce all’Europa del XXI secolo quella presenza fantomatica che Adorno chiamava “il residuo dell’urto della storia”».^2
Non sono mancate, tuttavia, alcune perplessità: la Süddeutsche Zeitung ha parlato della “tentazione estetizzante del rovinoso” come rischio teorico di un eccesso di lirismo e parziale assenza di rigore storico-archeologico. Si tratta di un’osservazione fondata, ma che sottovaluta – a nostro avviso – il fatto che Bernardi non mira mai alla documentazione cronachistica, quanto a una fenomenologia morale del detrito.
Nel contesto letterario italiano contemporaneo, Il Silenzio delle Pietre si inscrive in una tendenza emergente che coniuga forma saggistica e meditazione poetica, accostandosi per certi tratti a opere come Archivi del silenzio di Giorgio Destro o Il margine interno di Laura Bassini. Tuttavia, laddove questi autori tendono alla psicoanalisi introspettiva individuale, Bernardi mira a una responsabilità collettiva che coinvolge il paesaggio stesso come soggetto etico. La sua idea di “topoclastia morale” – termine che ella conia per indicare la distruzione intenzionale dei luoghi di memoria – si configura come originale e teoricamente gravida di sviluppi futuri.^3 Come non leggere, in filigrana, echi della distruzione sistematica delle architetture siriane o della cementificazione delle coste italiane? Ma Bernardi compie uno scarto: non denuncia, problematizza; non accusa, interroga.
Dal punto di vista critico, non possiamo non rilevare la straordinaria coerenza interna dell’opera e la sua capacità di gestire materiali concettuali complessi, mantenendo alta la tensione speculativa. Tuttavia, persistono alcune debolezze. Innanzitutto, l’opera talvolta indulge in un retoricismo ossimorico (“le pietre gridano il loro silenzio”, “il vuoto pieno dei non-luoghi resistenti”) che rischia – soprattutto per un lettore meno avvezzo alla filosofia continentale – di risultare criptico. Inoltre, sarebbe auspicabile un dialogo più esteso con le discipline architettoniche e urbanistiche, qui solo toccate marginalmente. Un confronto con la teoria dello spazio di Henri Lefebvre, ad esempio, avrebbe potuto ampliare la portata analitica del lavoro.^4
In conclusione, Il Silenzio delle Pietre è un libro significativo non solo per il panorama filosofico italiano, ma per l’intero orizzonte europeo di riflessione sull’identità, la memoria e la forma simbolica del paesaggio. La sua ambizione di fondare un’etica della materia inanimata è originale e spesso illuminante. Probabilmente non raggiungerà un pubblico ampio, e forse non ambisce a farlo: si tratta, dopotutto, di un’opera che esige tempo, silenzio e predisposizione all’ascolto interiore. Ma proprio in ciò risiede la sua forza: nel proporre un tempo di lettura che si misura con le ere geologiche più che con il ciclo produttivo della cultura editoriale.
Alessandra Bernardi ci consegna un’opera filosofica rarefatta ma radicata, destinata – come le pietre di cui parla – a restare. Non farà rumore, ma insisterà. E in questo gesto quasi liturgico, fa della letteratura un atto di custodia morale.
A cura del Monaco del Libro – Dipartimento di Filosofia del Monastero della Falena Lunare
memoria, etica della materia, rovina, hauntology, estetica negativa, linguaggio, non-luoghi
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^1 Maria Lentzner, “Der Stein spricht: Über die neue italienische Ethik der Landschaft,” Sinn und Form, n. 1/2024.
^2 Wolfgang Seegers, “Topographien des Schmerzes,” Die Zeit, febbraio 2024.
^3 Bernardi, Alessandra. Il Silenzio delle Pietre, Torino: Einaudi, 2024, p. 189.
^4 Lefebvre, Henri. La production de l’espace, Paris: Anthropos, 1974.