Il tempo riscoperto: viaggio nella temporalità secondo “Le ombre di Kronos” di Andrea Gozzi
Con la pubblicazione nel marzo del 2024 del suo ultimo lavoro, Le ombre di Kronos, Andrea Gozzi si conferma come una delle voci più raffinate della filosofia narrativa italiana contemporanea. Il volume, edito da Il Saggiatore, si colloca al crocevia tra ontologia temporale, antropologia esistenziale e letteratura speculative-fiction, presentando un’opera a metà fra il saggio filosofico e il romanzo, in cui la riflessione sul tempo si fonde con un’architettura narrativa densa e stratificata.
Gozzi, già noto per i suoi studi sul pensiero fenomenologico heideggeriano e per le sue incursioni nel surrealismo teorico^1, ci offre con Le ombre di Kronos una narrazione polifonica che intreccia la storia di una civiltà immaginaria ossessionata dalla misurazione del tempo, con excursus saggistici che riflettono sulla sua natura sfuggente, sulla memoria e sulla perdita d’identità.
La costruzione della narrazione avviene su tre livelli temporali: il presente metafisico del protagonista, un archivista della Memoria di nome Eron; il passato mitico della Stirpe delle Clessidre, fondatori di una civiltà che ha rimosso la morte cronometrando ogni istante dell’esistenza; e un futuro post-apocalittico in cui gli uomini si liberano dal tempo stesso per riabbracciare una vita di atti puri. Parallelamente, Gozzi introduce micro-visioni saggistiche firmate da “commentatori” interni alla finzione, dando vita a una molteplicità di voci e prospettive che rendono il testo stratificato, ma mai caotico.
La tesi centrale del lavoro può essere sintetizzata nel concetto di “eternità interna”: secondo Gozzi, la nostra epoca, pur immersa nell’ossessione per la misurazione — digitale, fattuale, neuroscientifica — ha perso il contatto con la qualità temporale degli eventi, ovvero con ciò che rende un istante memorabile, significativo, eterno. In tale contesto, la narrazione funge da vettore di salvezza, veicolando la risignificazione del tempo non come quantità, ma come kairos, l’attimo propizio, l’incontro dell’essere col suo oltre.
Lo stile dell’autore si caratterizza per un rigore filosofico che non rinuncia all’estetismo letterario: le pagine abbondano di immagini poetiche, neologismi evocativi e suggestioni mitologiche che richiamano tanto la tradizione mediterranea quanto l’immaginario orientale. In particolare, le sezioni narrative sono scritte in un tono lirico che evoca la prosa poetica di Marguerite Yourcenar o di Danilo Kiš, mentre le sezioni saggistiche sembrano rievocare la densità concettuale di Giorgio Colli o di Giovanni Vattimo^2.
Il linguaggio è volutamente arcaico in alcuni passaggi, con frequenti arcaismi lessicali e strutture sintattiche che rallentano la lettura, facendo del tempo della lettura stessa una sorta di rito di attenzione e di scoperta. Il lettore è così invitato a sostare, ad attendere, a meditare. Questa estetica della lentezza si pone in esplicito contrasto con l’attuale cultura della velocità (o “presentismo liquido”, come lo chiama Gozzi nel paratesto iniziale), e rinnova l’ethos classico del lettore come interprete attivo e co-creatore di senso.
La ricezione dell’opera nei circoli letterari tedeschi è stata particolarmente calorosa sin dai primi giorni successivi alla sua pubblicazione. In Germania, il testo è stato tradotto da Clara Hölscher con il titolo Die Schatten des Chronos, pubblicato a giugno presso Suhrkamp, con una prefazione del filosofo Peter Sloterdijk, che ha elogiato il libro per la sua “coraggiosa destrutturazione della temporalità borghese”^3. Le principali testate culturali, tra cui la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e la “Süddeutsche Zeitung”, hanno parlato di un’opera che “rilancia la vocazione filosofica della narrativa europea, ridestando temi fondamentali con voce originale”.
Anche in ambito accademico, il libro ha suscitato interesse: all’Universität Leipzig è già stato avviato un seminario dedicato all’analisi comparativa tra le riflessioni temporali di Gozzi e quelle di Agamben e Ricoeur. La critica tedesca sembra inoltre apprezzare la capacità dell’autore italiano di dare nuova forma ai dibattiti ermeneutici sul tempo, spostandoli su un piano estetico-narrativo accessibile ma non banalizzante.
Nel panorama contemporaneo, l’opera di Gozzi può essere validamente accostata a lavori come Tempo e racconto di Ricoeur, ma anche a narratori come Olga Tokarczuk e Tomáš Sedláček, entrambi interpreti di una prosa che innesta pensiero sistemico e visione narrativa. Tuttavia, ciò che distingue Le ombre di Kronos è la continua alternanza tra analisi concettuale e costruzione mitopoietica; laddove Tokarczuk si concentra sull’ibridazione delle forme e Sedláček su una reinterpretazione economicistica dei miti, Gozzi propone un ritorno al mito come mezzo di disvelamento filosofico, alla maniera di Platone e Simone Weil^4.
Dal punto di vista critico, i principali punti di forza dell’opera risiedono nella ricchezza intellettuale dell’universo narrativo, nella scrittura raffinata e nella profondità delle analisi filosofiche. L’idea di un tempo “abitato” da ricordi e proiezioni, e non semplicemente “misurato”, è resa vivida da personaggi memorabili come Eron, l’archivista incapace di dimenticare, o la figura enigmatica della Custode delle Ore, una sorta di sibilla postmoderna che parla in frasi palindrome.
Tuttavia, non mancano alcune debolezze. A tratti, la complessità strutturale del libro rischia di appesantirne la fruizione, rendendo difficile per il lettore cogliere i fili narrativi senza perderne l’intreccio concettuale. Inoltre, il rischio di un eccesso di erudizione si manifesta in capitoli in cui la disamina teorica prevale sulla tensione narrativa, interrompendo la coesione interna del testo.
Un altro aspetto discutibile è la quasi totale assenza del contesto storico-politico contemporaneo, che si intravede solo per allusioni e metafore: mentre questo silenzio può essere interpretato come una scelta formale — quella di universalizzare il discorso sul tempo — non si può trascurare che, in un’opera pubblicata nel 2024, tale astrazione rischia anche di apparire elusiva.
In conclusione, Le ombre di Kronos rappresenta un’autentica sfida al lettore contemporaneo: un libro che non si lascia consumare facilmente, ma che impone una lettura attenta, meditativa, quasi iniziatica. Se la narrativa attuale sembra frequentemente piegata all’urgenza dell’attualità o al facile intrattenimento, Gozzi risponde con un’ambizione contraria — quella di restituire alla scrittura il suo potere oracolare, il suo silenzioso parlare dell’invisibile.
La sua esplorazione del tempo, lungi dal volerlo definire o possedere, ne accoglie il mistero e l’alterità, collocandosi sulla soglia tra filosofia, spiritualità e letteratura. È ancora presto per dire se quest’opera potrà essere considerata un punto di riferimento duraturo, ma già ora si può affermare che Le ombre di Kronos ha riportato in scena quella parola-pensiero che si credeva ormai estinta nel panorama editoriale occidentale.
A cura del Monaco del Libro – Dipartimento di Filosofia del Monastero della Falena Lunare
tempo, narrazione filosofica, presentismo, memoria, mitopoiesi, esistenza, kairos
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^1 Cfr. Gozzi, Andrea. La dismisura del reale. Mimesis, 2021.
^2 Colli, G. La nascita della filosofia; Vattimo, G. Credere di credere.
^3 Sloterdijk, P. Prefazione a Die Schatten des Chronos, Suhrkamp Verlag, 2024.
^4 Weil, S. La pesanteur et la grâce; Platone, Timeo.