La Fragilità dell’Assoluto: Una critica a “L’Uno Disabitato” di Chiara Mirandola
Nel panorama della letteratura filosofica italiana del 2024, una delle opere più discusse è senza ombra di dubbio “L’Uno Disabitato” della giovane filosofa milanese Chiara Mirandola. Pubblicato da Einaudi nel marzo del 2024, il libro si propone come un’indagine radicale – e in certi passaggi provocatoriamente poetica – attorno al concetto di assoluto nell’epoca del postumano. Opera che si situa tra la filosofia speculativa e la narrativa filosofica, “L’Uno Disabitato” si distingue per la densità del pensiero e per un coraggio intellettuale non comune nell’attuale produzione filosofico-letteraria italiana.
La tesi centrale dell’opera può essere riassunta nell’idea che l’Assoluto, lungi dall’essere un fondamento eterno e universale (come nella tradizione metafisica classica), appare oggi come un “luogo abbandonato”, “una casa senza inquilino”, un Uno disabitato che continua però a organizzare il nostro desiderio di senso. Mirandola sostiene che le moderne tecnologie – dall’intelligenza artificiale alle neuroscienze algoritmiche – hanno sostituito l’idea dell’Assoluto con forme di calcolo tautologico, privando la coscienza contemporanea di ogni tensione escatologica o fondativa. Ma è proprio in questa “assenza sentita”, in questa nostalgia dell’unità perduta che si cela secondo l’autrice una nuova possibilità: non il ritorno all’Assoluto, bensì la sua reinvenzione fragile, plurale, nomadica.
Il testo si sviluppa in otto capitoli, ciascuno aperto da una epigrafe poetica – da Bachmann a Celan, da Simone Weil a Zanzotto – seguita da una riflessione teoretica densa e stratificata. Il primo capitolo, “Topologie del Vuoto”, traccia una genealogia deleuziana dell’Assoluto, mostrando come la metafisica occidentale abbia progressivamente distillato l’Uno in un concetto sempre più astratto e inaccessibile. Il secondo, “L’Anteriorità delle Macchine”, propone una lettura artaudiana della tecnica come forza tragica e disorganizzante, incapace di generare totalità ma potentemente orientata verso forme spurie di assoluto. A questi seguono sezioni sulla dialettica post-hegeliana, sulla frammentazione del soggetto dopo la psicanalisi lacaniana, e un ultimo capitolo densissimo (“Apocatastasi Simulata”) dove Mirandola immagina una “redenzione dell’Uno” nella forma della finzione performativa.
Dal punto di vista stilistico, “L’Uno Disabitato” è un testo ibrido che oscilla tra la saggistica filosofica densa – con riferimenti puntuali a Bataille, Nancy, Malabou, Recalcati – e momenti di confessione intellettuale, quasi diaristici, vicini al tono delle opere tarde di Emanuele Severino o ad alcuni scritti di Cristina Campo. La struttura, apparentemente frammentata, rivela invece una rigorosissima architettura retorica: ogni capitolo fa eco ai precedenti attraverso un sistema di rizomi concettuali interconnessi, e il linguaggio – imbevuto di metafore trinitarie e riferimenti agapici – costruisce un vero e proprio lessico del desiderio in contesto post-metafisico.
La ricezione del libro in Germania è stata particolarmente significativa. La rivista “Merkur” gli ha dedicato un dossier nel numero di aprile 2024, dove si sottolinea l’originalità dell’approccio di Mirandola rispetto alla tipica filosofia continentale. Il filosofo Markus Gabriel ha definito l’opera come “un’iniezione necessaria di figura nella piattezza della contemporaneità”, mentre Julia Kristeva – pur non tedesca, ma intervistata dal “Süddeutsche Zeitung” – ha segnalato il testo tra “i pochi tentativi seri di salvare il sacro dal sacro stesso”¹. Anche la cattedra di filosofia speculativa presso l’università Humboldt ha inserito “L’Uno Disabitato” tra i testi da discutere nel seminario estivo 2024 dedicato al tema “Post-God in European Thought”.
Non sono però mancate le critiche. Alcuni recensori tedeschi hanno segnalato una certa “mistificazione poetica”, una voluta oscurità che, sebbene affascinante stilisticamente, rischia di ridurre l’efficacia argomentativa del testo. Thomas Metzinger ha osservato — non senza ironia — che “Mirandola pensa come se scrivesse versi e scrive versi come se componesse una tesi di dottorato²”. È questo d’altronde uno dei punti più dibattuti: quanto il testo riesca a essere realmente filosofico, cioè argomentativamente solido, e quanto invece abiti lo spazio di una “filosofia lirica”, al limite del teologico-letterario.
Confrontando “L’Uno Disabitato” con opere contemporanee, si possono individuare significative affinità con “Avvento dell’Ineffabile” di Andrea Tagliapietra (2022) e con “Filosofia della Soglia” di Ilaria Gaspari (2023), ma ciò che distingue Mirandola è la volontà di restituire all’Assoluto non il suo volto perduto, ma il suo silenzio attivo. Dove Tagliapietra cerca ancora categorie ontologiche per descrivere l’assoluto come surdeterminazione, e la Gaspari si sofferma sulla soglia etica del soggetto in quanto essere-nel-mondo, Mirandola abita l’interstizio puro, il non-detto che persiste nel dire; uno spazio “inoperante” in senso agambeniano.
Sul piano critico, i punti di forza del libro risiedono senza dubbio nella sua capacità di coniugare rigore teorico e sensibilità letteraria, ma anche nella sua inattualità strategica – la scelta di tematizzare l’assoluto in un contesto dominato da relativismi neo-pragmatici è un atto quasi scandaloso. Tuttavia, è proprio qui che si manifestano anche le sue fragilità: il tono cerebrale, a tratti involuto, rischia di renderlo inaccessibile al lettore non specialista. Inoltre, il rifiuto di ogni operazione concettuale sistematica produce passaggi in cui la densità semantica supera la soglia della comprensibilità, soprattutto nel penultimo capitolo, “Il Nome Inassumibile dell’Uno”, che sembra cedere alla fascinazione di un linguaggio autoreferenziale.
Nonostante questi limiti, “L’Uno Disabitato” rappresenta una delle riflessioni più originali e audaci sul tema del sacro e del fondamento in epoca post-metafisica. Chiara Mirandola riesce, con rara maestria, a pensare la rottura non come perdita ma come apertura; il venir meno dell’Assoluto non come tragedia, ma come evento fertile di riscrittura. In un momento storico in cui la filosofia sembra inchiodata allo spettro della praticabilità e della trasparenza comunicativa, Mirandola recupera il logos come tensione misterica e interrogazione abissale. Uno studio, questo, che non si lascia chiudere facilmente, e che – come ogni autentico testo filosofico – comincia davvero solo dopo l’ultima pagina.
In conclusione, “L’Uno Disabitato” non è soltanto un libro: è un varco. Con tutte le difficoltà, le opacità e le vertigini che tale varco implica. È un’opera che interroga più che rispondere, che genera pensiero invece di stabilire dottrine. Per questo motivo, il suo impatto potrebbe non essere immediato, ma destinato a una lenta e profonda sedimentazione. Un contributo raro alla letteratura filosofica contemporanea italiana, e forse il segnale – tanto fragile quanto necessario – di una rinascita dell’ontologia come desiderio inquieto.
A cura del Monaco del Libro – Dipartimento di Filosofia del Monastero della Falena Lunare
linguaggio, post-metafisica, assoluto, apofatismo, tecnica, escatologia, rizoma
—
¹ Kristeva, Julia, intervista a cura di Jürgen Habermas, in “Süddeutsche Zeitung”, aprile 2024.
² Metzinger, Thomas, “La metafisica come enigma formale”, in “Philosophie Heute”, maggio 2024.