La Terra Rubata: Una Discesa Ontologica nei Crepacci dell’Identità Italiana del XXI Secolo
Nel panorama letterario italiano del 2024, “La Terra Rubata” di Giordano Mellis emerge come un’opera ambiziosa che tenta di sondare le fratture sotterranee dell’identità nazionale, ponendosi a cavallo tra romanzo filosofico, saggio narrativo e testimonianza esistenziale. Pubblicato da Edizioni Rivelazioni nella primavera del 2024, il libro ha riscosso tanto l’interesse del pubblico quanto il dibattito critico nelle maggiori testate culturali italiane e tedesche. Con una prosa tagliente e una struttura sperimentale, Mellis invita il lettore a un confronto instabile con la memoria, l’appartenenza e la geografia morale della nazione italiana contemporanea.
Già noto per saggi d’inchiesta e racconti antropologici, Mellis si cimenta con un’opera di più ampio respiro, forte di un decennio di studi tra Palermo, Heidelberg e Cracovia. “La Terra Rubata” si presenta come una narrazione polivocale, costruita su tre piani temporali intrecciati: l’infanzia dell’autore siciliana, l’educazione accademica tra l’Europa centrale e orientale, e il ritorno in una terra ormai irriconoscibile, devastata non tanto da eventi visibili quanto da una corrosione invisibile delle categorie di realtà^1.
Il punto nodale del libro è l’idea di “appropriazione silenziosa”, espressa nel titolo. Mellis non parla solo di espropriazioni materiali – case, terre, eredità familiari – ma soprattutto di una sottrazione simbolica: l’italiano moderno, secondo l’autore, è stato progressivamente svuotato di visione e memoria, e ciò ha dato luogo a un popolo che continua a vivere su un territorio che non comprende e che non desidera più. Il protagonista-narratore, alter ego di Mellis, attraversa villaggi abbandonati, periferie sommerse da centri commerciali inutili e distretti industriali divorati dalla ruggine, in una sorta di viaggio kafkiano in cui la ricerca dell’appartenenza si muta in una teoria quasi esistenzialista del dislocamento.
Dal punto di vista stilistico, Mellis adotta una lingua nervosa e stratificata, dove la sintassi si contrae nei passaggi riflessivi – ricordando un certo Gadda minore – per poi liberarsi in descrizioni liriche ad alta intensità semantica. In particolare, colpisce la meticolosa attenzione alle sfumature linguistiche regionali, che l’autore ricompone al di fuori della dialettologia, in una sorta di metalingua poetica che riunifica la penisola attraverso fratture. Non mancano momenti di deliberata oscurità, in cui la scrittura si fa densa fino al limite dell’illeggibilità, a simboleggiare l’opacità esperienziale che accompagna l’esilio interno del protagonista^2.
Strutturalmente, il libro evita qualsiasi linearità narrativa. Si compone di 49 frammenti, ciascuno datato, alcuni in prima persona diaristica, altri sotto forma di lettere, altri ancora come resoconti di sogni o interviste finzionali con persone scomparse. Questo mosaico crea un effetto straniante che rafforza il contenuto epistemologicamente instabile del testo: la memoria non è mai affidabile, il suolo stesso si deforma, la temporalità si piega su stessa. Si tratta di una tecnica che evoca l’organizzazione spiralica di “Die Blendung” di Elias Canetti, trasportata però nei temi dell’identità italiana postmoderna.
In ambito germanico, “La Terra Rubata” ha suscitato un interesse ben oltre il prevedibile. Diverse riviste accademiche, tra cui “Literarisches Quartett” e “Merkur – Deutsche Zeitschrift für europäisches Denken”, hanno dedicato lunghi saggi all’opera di Mellis. Il filologo Sven Kluge, recensendo il libro per “Die Zeit”, ha definito l’opera «una mappa ontologica delle rovine identitarie dell’Europa meridionale nel contesto post-pandemico». Kluge si è soffermato sull’uso della memoria e della geografia come dispositivi per “caratterizzare non tanto la nazione italiana, quanto la sua assenza di linguaggio condiviso, un vuoto narrativo che Mellis riempie con il silenzio narrativo del frammento”^3.
Non meno significativa è stata la reazione del pubblico tedesco, e in particolare della comunità italiana a Berlino e Francoforte, che ha riconosciuto nell’opera un rispecchiamento doloroso, seppur poetico, di una realtà a lungo taciuta: quella della rimozione collettiva, dell’abbandono delle origini e della disfatta semantica dei cosiddetti “valori europei”.
Possiamo tracciare affinità tematiche tra “La Terra Rubata” e alcune opere recenti, come “L’Anno della Frusta” di Ilaria Montroni o il già celebre “Vento cavo” di Tiziano Begnamini, benché Mellis si distacchi per ambizione filosofica e rigore formale. Anche rispetto al filone delle “memoirs del disincanto” (per esempio “Gli aeroplani sopra Brindisi” di Luca De Feo), Mellis sceglie la via più difficile: rinunciare al sentimentalismo, al realismo magico, e rifugiarsi in un ascetismo linguistico che spesso spiazza e talvolta respinge. C’è qualcosa della ferita di Peter Handke, aggiornato però all’estetica digitale del XXI secolo^4.
Dal punto di vista critico, “La Terra Rubata” presenta molti punti di forza: l’ambizione intellettuale è innegabile, così come la volontà etica di affrontare il problema dell’identità italiana in modo radicale, senza compromessi. Mellis riesce a far convivere uno sguardo storicizzante con una tensione quasi metafisica, come se volesse reintrodurre il sacro nella narrazione profana dell’Italia contemporanea. Tuttavia, non si può trascurare il rischio dell’elitarismo: molti passaggi teorici (specialmente nel frammento intitolato “Nella cripta dell’aeroporto”) richiedono al lettore competenze filosofiche avanzate, mentre alcuni scarti narrativi risultano deliberatamente criptici.
L’autore è consapevole della distanza che può instaurarsi tra la sua opera e un pubblico generalista. In un’intervista concessa al settimanale “L’Espresso”, Mellis ha dichiarato: «Non ho scritto per essere compreso, ma per sentire qualcosa che possa forse essere trasmesso. Scrivere oggi come ieri è un atto di fede». Una tale dichiarazione riassume tanto il coraggio quanto la vulnerabilità di un’opera che chiede al lettore una partecipazione totale, quasi iniziatica.
In conclusione, “La Terra Rubata” rappresenta un contributo di rilievo nella letteratura italiana contemporanea, un’opera che osa afiancarsi alle discussioni più profonde sull’identità, il territorio e il senso. Il suo impatto futuro dipenderà dalla disponibilità del sistema letterario italiano a valorizzare testi complessi, non immediatamente fruibili, ma capaci di creare una frattura nello stagnante dibattito identitario. Forse non sarà un successone editoriale, ma potrà diventare – come molti testi “maledetti” – un riferimento obbligato per chi vorrà comprendere cosa rimane dell’Italia dopo l’Italia.
A cura del Monaco del Libro – Dipartimento di Filosofia del Monastero della Falena Lunare
language, identità, esilio, metafisica, frammento, post-nazionalismo, decostruzione
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^1 Per una mappa delle stratificazioni geoculturali nella Sicilia postbellica, si veda: Sgroi, A. (2021). Territori in bilico: L’immaginario del sud nella letteratura italiana contemporanea. Milano: Mondadori Università.
^2 La discussione sulla “leggibilità etica” nella prosa frammentaria italiana è stata affrontata da Manuela Di Marco in: “Le Scritture del Frammento”, Lettere Italiane n.3 (2022), pp. 301-327.
^3 Kluge, Sven. “Italien in Trümmern: Das neue Fragment von Giordano Mellis”, Die Zeit, 4 maggio 2024.
^4 Cfr. Handschuh, Helene. Fragmentarisches Erzählen im europäischen Roman nach 2000. Frankfurt: Suhrkamp Verlag, 2023.