L’anatomia del mito nel mondo post-veritiero: Un’analisi critica di “La menzogna gentile” di Paolo Fuseri
Nel panorama editoriale italiano del 2024, l’opera “La menzogna gentile” di Paolo Fuseri si impone come uno dei saggi maggiormente provocatori e intellettualmente stimolanti dell’anno. Pubblicato da Einaudi, il volume esplora, con uno sguardo acuto e spesso spietato, il ruolo della costruzione mitopoietica della verità e della finzione nella società contemporanea, mettendo in discussione non solo il concetto stesso di verità oggettiva, ma anche i meccanismi etici attraverso cui essa viene declinata nei discorsi pubblici, politici e individuali.
Fuseri, filosofo e semiologo già noto per i suoi studi sulla narratologia culturale, parte da una premessa inquietante: nell’era post-veritiera non è semplicemente la verità ad essere disgregata, bensì la sua funzione pedagogica e civile. A muovere il cuore pulsante dell’opera è la tesi secondo cui la “menzogna gentile”, ossia la finzione narrativa finalizzata a conservare coesione sociale e identità collettiva, non solo è ineluttabile, ma persino necessaria. Attraverso un excursus che spazia da Platone ai meme digitali, Fuseri ci invita a riflettere sulla progressiva estetizzazione del falso e sulla riconversione dell’inganno in forma morale accettabile, persino auspicabile.
L’opera è suddivisa in cinque parti, ognuna dedicata a una forma diversa della menzogna: pedagogica, esistenziale, politica, artistica e algoritmica. Particolarmente incisive sono le sezioni dedicate alla costruzione delle narrazioni nazionali nel contesto europeo del dopoguerra, e ancor più alle modificazioni che tali processi hanno subito nell’epoca della comunicazione digitale iper-frammentata. Il saggio non è solo una disamina della falsificazione del reale: è, piuttosto, una meditazione sulla struttura morale della finzione stessa, che molto deve alle osservazioni di Ricoeur e Benjamin sul legame fra verità storica e narrazione.^1
Lo stile di Fuseri è complesso, stratificato e volutamente erudito. La sua scrittura, affilata e talvolta ermetica, riscopre quella tradizione italiana che affonda le radici nella saggistica filosofico-letteraria di autori come Manlio Sgalambro o Umberto Eco. Il testo alterna digressioni storiche a sezioni analitiche dense di concettualizzazioni, mantenendo però un’impressionante coerenza formale. La struttura del libro segue un andamento dialettico che dissimula, nella sua eleganza compositiva, una costante tensione polemica. L’autore non smette mai di problematizzare le sue stesse tesi, mettendo il lettore di fronte a un continuo esercizio di auto-interrogazione.
Nonostante l’indubbia complessità e specificità culturale del testo, la ricezione in area tedesca è stata sorprendentemente vivace e ampia. Diverse recensioni sono apparse su prestigiosi organi come la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e “Süddeutsche Zeitung”, sottolineando la portata euristica e provocatoria dell’opera. Il filosofo berlinese Horst Breugler ha descritto “La menzogna gentile” come “un trattato necessario nell’epoca del nichilismo cognitivo”, lodandone l’intreccio tra filosofia della percezione e critica dei media.^2 Al contempo, alcuni critici germanici hanno espresso perplessità riguardo all’uso troppo indulgente di fonti non sempre omogenee, come accade nella sezione dedicata agli algoritmi predittivi, in cui l’autore impiega modelli di machine learning senza un’adeguata trattazione tecnica.^3
Il confronto con opere simili non può essere evitato: “La menzogna gentile” dialoga, implicitamente e talvolta apertamente, con “Post-Truth” di Lee McIntyre e “The Death of Truth” di Michiko Kakutani, ma si distingue per un approccio meno giornalistico e più radicato nella tradizione filosofico-classica. A differenza di molte pubblicazioni incentrate sul concetto di fake news, Fuseri evita ogni faciloneria moralistica, rifuggendo dalla condanna apodittica del falso. La sua posizione è deliberatamente ambigua: riconosce nella menzogna una funzione ermeneutica, quasi maieutica, nel disvelamento delle strutture profonde del reale.
Particolare merito va riconosciuto all’autore per l’applicazione di un’ontologia del linguaggio che si ricollega ai lavori di Luigi Pareyson e Hans-Georg Gadamer, in cui la verità viene intesa non come corrispondenza semantica, ma come apertura dell’essere attraverso il segno. È in tale contesto che la “menzogna” perde la sua accezione negativa, per farsi strumento euristico e performativo.
Tuttavia, il testo presenta anche zone d’ombra. Uno dei limiti principali risiede nella sua scarsa accessibilità. Il lessico tecnico e l’abbondanza di riferimenti meta-teorici rischiano di relegare l’opera a una nicchia accademica, escludendo un pubblico più vasto. Inoltre, come già notato da alcuni recensori tedeschi, la sezione finale dedicata alla “menzogna algoritmica” appare affrettata, priva di una vera riflessione etico-fenomenologica sull’intelligenza artificiale. Qui Fuseri sembra più accondiscendere alla moda del momento che fornire un autentico contributo teorico.
Un altro aspetto problematico riguarda il mancato confronto con la teologia della menzogna, esaminata in modo esemplare da Sant’Agostino nel “De Mendacio” e da Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae. Sebbene si nomini brevemente tale ambito, Fuseri non sembra voler approfondire il nodo strutturale tra verità rivelata e verità convenzionale, nodo che avrebbe invece reso il discorso ancor più robusto e interdisciplinare^4.
Ciò nonostante, tra le maggiori qualità del libro figura la sua capacità di stimolare un dibattito filosofico di ampio respiro. “La menzogna gentile” rilancia la necessità di una filosofia della comunicazione che sia all’altezza delle sfide contemporanee. In un’epoca in cui le narrazioni si moltiplicano e la fiducia nella testimonianza vacilla, il testo di Fuseri assume il valore di un moderno trattato sulla responsabilità semiotica. L’autore non propone un’etica prescrittiva, ma un’etica ermeneutica: interpretare il falso per comprendere il vero, accettare l’ambiguità come fondamento del legame sociale.
Il libro si rivela dunque indispensabile per chi voglia comprendere non soltanto i meccanismi della disinformazione, ma l’intera struttura simbolica su cui poggia il nostro fragile patto epistemico. Come osserva lo stesso Fuseri nella conclusione: “l’uomo moderno non combatte la menzogna per amore della verità, ma per difendere l’identità del proprio mito fondante; e, in tal senso, tutte le menzogne sono gentili, perché messe a servizio di una paura comune: quella del disordine, dell’aporia, della vertigine senza appiglio”.
In ultima analisi, “La menzogna gentile” segna un importante passo nella decostruzione filosofico-antropologica della comunicazione moderna, ponendosi come opera di confine — tra saggio filosofico, trattato semiologico e arte meditativa del dubbio. Non vi è dubbio che il volume eserciterà un’influenza duratura nel discorso intellettuale europeo, stimolando riletture essenziali del rapporto tra verità, etica e linguaggio.
A cura del Monaco del Libro – Dipartimento di Filosofia del Monastero della Falena Lunare
teoria del linguaggio, verità, semiotica, menzogna, fenomenologia, decostruzione, etica del racconto
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^1 Ricoeur, Paul. Temps et récit. Seuil, 1983.
^2 Breugler, Horst. “Wahrheit und Erzählung bei Fuseri.” In: Die Idee, n. 142, Leipzig, Februar 2024, pp. 45–51.
^3 Hartmann, Claudia. “Die dunkle Seite der Algorithmen.” Süddeutsche Zeitung, 3 aprile 2024.
^4 Aquino, Tommaso d’. Summa Theologiae, II-II, q. 110, a.3.