L’eco interrotta: una critica a “L’Affanno Invisibile” di Alessandra Cruciani
Nel panorama letterario italiano del 2024, pochi titoli hanno suscitato un tale fermento critico e discorsivo quanto “L’Affanno Invisibile” di Alessandra Cruciani, autrice romana con già all’attivo una serie di romanzi brevi e saggi sociopolitici. Pubblicato da Einaudi nel gennaio 2024, questo ambizioso volume ha immediatamente attirato l’attenzione per l’ardita commistione di introspezione filosofica, critica sociale e sperimentalismo narrativo. In poco più di trecento pagine, Cruciani costruisce un affresco disturbante e volutamente frammentato della post-modernità, in cui le ansie individuali incarnano cifre universali e i luoghi della marginalità diventano il palcoscenico per una drammaturgia dell’invisibilità sociale.
Il romanzo è strutturato in tre sezioni apparentemente disgiunte – “L’Interno Muto”, “Topografie del Silenzio” e “Archivio del Nulla” – che vengono poi collegate attraverso una sinfonia di personaggi ricorrenti, leitmotiv lessicali e rifrazioni temporali. La trama, o piuttosto l’antinarrazione che sovverte la forma classica del romanzo lineare, ruota attorno a tre figure centrali: Viola, una bibliotecaria ossessivamente attratta dagli incunaboli medievali; Sante, senzatetto-filosofo i cui monologhi mettono in crisi i fondamenti dell’ontologia urbana; e l’architetto Paolo Lemmi, intento a progettare uno spazio museale basato sull’assenza. Le loro storie si intersecano senza mai collidere del tutto, dando luogo a un’intelaiatura narrativa che privilegia la suggestione semantica al posto della progressione causale.
Cruciani, nota per una scrittura densa e stratificata, qui oltrepassa le coordinate tradizionali del realismo psicologico per instaurare una nuova forma di “iper-narrazione contemplativa”. Le sue frasi, spesso lunghe e lussureggianti, si appoggiano su una sintassi asimmetrica che simula il funzionamento di una mente disturbata o immersa nella contemplazione estetica. L’autrice utilizza una grammatica destabilizzante, fatta di ellissi, incisi e macchie foniche che richiamano la poetica tardo-novecentesca di Amelia Rosselli o, in direzione più narrativa, le dissonanze volutamente abrasive di Antonio Moresco. Questo stile contribuisce a creare un’atmosfera di costante allontanamento, in cui il lettore è costretto a rinegoziare di continuo i parametri della comprensione e del giudizio.
Lo stile è speculare alla struttura: modulare, ricorsivo, disgregato. Ogni sezione del testo si offre come una palinsesto semiotico, dove le pagine mostrano non solo ciò che dicono, ma anche – e forse soprattutto – ciò che rifiutano di dire. Interi paragrafi sono composti solo da elenchi o aforismi ricombinati, con frequenti apparizioni di inserti visivi: planimetrie immaginarie, carte astronomiche manipolate digitalmente e diagrammi che simulano la logica di un pensiero paranoico. In tal modo, “L’Affanno Invisibile” si configura come antiromanzo, ma anche come saggio implicito sull’epistemologia dell’anonimato e sulla performatività della scrittura.
Inaspettatamente, l’opera ha conosciuto una ricezione entusiastica anche all’estero, in particolare nei circoli letterari tedeschi, dove è stata presentata alla Leipziger Buchmesse con un elogio firmato dal filologo e critico Marcel Kramer. L’edizione tedesca (“Der Unsichtbare Atem”), tradotta con rara eleganza da Judith Fröhlich, ha avuto un notevole successo soprattutto tra gli ambienti universitari di Berlino e Francoforte, dove il tema dell’improduttività emotiva e dello sradicamento urbano ha trovato fertile rispondenza nell’attuale critica post-heideggeriana. Recensioni pubblicate su letteraturmagazin.de e Die Gegenwart hanno evidenziato l’affinità della Cruciani con autori come Elfriede Jelinek e Rainald Goetz, sottolineando la metodologia stratigrafica con cui vengono affrontati i processi di alienazione nei contesti post-industriali^1.
Vale la pena notare come Cruciani si inserisca, volontariamente o meno, in una fitta rete di analogie contemporanee. Per struttura e ambizione concettuale, “L’Affanno Invisibile” richiama “Gli anni al contrario” di Nadia Terranova, anche se è assai più criptico e meno radicato nel contesto storico. In termini tematici, le ossessioni della Cruciani per l’anonimato relazionale e la violenza della visibilità verbale si avvicinano al lavoro saggistico di Donatella Di Cesare, in particolare “Il tempo della rivolta”, per quanto vengano trasposte in modalità squisitamente narrativa^2. A livello internazionale, le affinità maggiori si riscontrano nel romanzo “The City & the City” di China Miéville, per la capacità di rendere urbana l’astrazione filosofica senza scadere nell’allegoria forzata.
Tuttavia, non tutto convince pienamente. Il principale punto debole del libro sta nella sua volontà estetica ossessiva, che talvolta ingombra la comunicabilità del messaggio filosofico. Sebbene la frantumazione formale si ponga come strategia programmatica – volta a rappresentare la frattura interna del soggetto contemporaneo – essa finisce per esasperare la distanza tra testo e lettore. La narrazione diventa in alcuni passaggi talmente rarefatta da sfiorare la tautologia o, peggio, il manierismo. Le riflessioni metanarrative sui limiti del linguaggio e le metafore architettoniche dell’assenza, per quanto suggestive, rischiano di apparire pretestuose quando non sostenute da un robusto impianto emotivo. Si avverte talvolta l’eco di un progetto più teorico che esperienziale, come se l’autrice, pur dimostrandosi brillante, parli più ai critici che agli umani.
Allo stesso tempo, non si può non riconoscere alla Cruciani una notevole tenuta estetica e una coerenza interna rara nel panorama editoriale contemporaneo. La profondità intellettuale del testo è innegabile, così come la sua ambizione ad affrontare questioni complesse – il disfacimento della comunità, l’intersoggettività del dolore, la politicizzazione del silenzio – senza scadere nei luoghi comuni. Vi sono momenti straordinari in alcune pagine del diario di Viola o nei monologhi di Sante, dove la filosofia si fa carne e l’astrazione diventa voce concreta, nonostante tutto. In tali brani, il libro raggiunge lo statuto di oggetto etico, e non solo narrativo^3.
Nel complesso, “L’Affanno Invisibile” rappresenta una delle operazioni letterarie più audaci e problematiche dell’anno. La sua difficoltà è anche la sua forza: invita a una lettura lenta, reiterativa, e al tempo stesso destabilizzante, in cui il lettore è chiamato a colmare continuamente dei vuoti. È un libro che respinge e seduce con la stessa intensità, che interroga più di quanto risponda. In tal senso, si potrebbe definire un “discorso-trappola”, nel quale l’illusione dell’intimità si dissolve nell’ombra di un’estraneità onnipresente^4.
Sul piano teorico e simbolico, il volume appartiene già a quel filone post-narrativo destinato a plasmare le tendenze della letteratura europea nei prossimi anni: l’auto-fiction spezzata, la decostruzione radicale del narratore, la tematizzazione dell’assenza come unica forma di presenza etica. Sebbene non perfetto, il libro apre sentieri linguistici e politici insoliti, costringendo la critica – e forse anche la filosofia – a confrontarsi con la possibilità di un romanzo oltre il romanzo.
A cura del Monaco del Libro – Dipartimento di Filosofia del Monastero della Falena Lunare
linguaggio, posturbanesimo, epistemologia, narrazione spezzata, alterità, decostruzione, struttura narrativa
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^1 Kramer, M. (2024). “Topographien der Leere: Zur neuen italienischen Prosa”, Die Gegenwart, n. 2, pp. 142–150.
^2 Di Cesare, D. (2021). Il tempo della rivolta. Morcelliana.
^3 Croce, C. (2024). “Cruciani e il romanzo come disubbidienza estetica”, in Lettere Italiche, vol. LXV, pp. 34–45.
^4 Francucci, L. (2024). “Il vuoto come retorica: l’architettura dell’assenza in Alessandra Cruciani”, Quaderni di Critica Postmoderna, n. 12, pp. 59–73.