L’immaginazione in fiamme: Un viaggio attraverso la realtà disgregata di “La soglia dei deserti” di Andrea Vismara
Nel panorama della narrativa italiana contemporanea del 2024 si iscrive con forza il romanzo “La soglia dei deserti” di Andrea Vismara, pubblicato da Einaudi nella suggestiva collana “Passaggi d’ombra”. L’opera, che a solo pochi mesi dalla pubblicazione ha già suscitato dibattito e reazioni contrastanti tanto in Italia quanto all’estero, rappresenta uno dei tentativi più ambiziosi degli ultimi anni di coniugare riflessione metafisica, indagine sociale e lirismo sperimentale. Si tratta, infatti, di un romanzo che sfida le convenzioni del genere narrativo per farsi ibrida cosmogonia dell’alienazione contemporanea, intrecciando filosofia, sogno e critica culturale.
La vicenda si articola attorno al personaggio di Giacomo Valdès, ex-urbanista diventato cartografo delle “zone grigie dell’esperienza”, che intraprende un viaggio – reale e simbolico – attraverso un’Italia trasfigurata da una catastrofe mentale più che ambientale. In questo Paese disfatto, dove i deserti si moltiplicano non per effetto climatico ma per rarefazione della coscienza collettiva, Giacomo ricerca sua figlia scomparsa, Livia, forse catturata da una setta di “visualisti” che credono che solo attraverso l’annullamento del pensiero discorsivo si possa accedere alla “luce della soglia”. Il romanzo alterna scene di inquietante realismo – interviste con profeti falliti, città abbandonate che si organizzano per euritmie del silenzio, esperimenti cognitivi venduti come droghe – a passaggi visionari, in cui il linguaggio stesso si sfalda per diventare spazio sensoriale.
L’argomentazione sottesa appare dunque radicale: Vismara propone che stiamo vivendo un’epoca in cui non soltanto le istituzioni ma le strutture stesse del pensiero sono entrate in collasso, e ne esplora le conseguenze incarnate nella carne e nella psiche dei suoi personaggi. Il deserto non è scenario, ma esito. Una metafisica del collasso, tradotta in fenomenologia narrativa.
Lo stile dell’autore corrisponde perfettamente alla singolarità del progetto. Abbondano i periodi subordinati e le interpunzioni ritmiche, in un fluire ipnotico della prosa che richiama la scuola mitteleuropea di fine secolo – i Musil, i Broch – ma contaminata da una lingua tesa, raramente indulgente, che sa impiegare lessemi tecnico-scientifici a fianco di sprazzi poetici. La struttura dell’opera è volutamente irregolare: a capitoli di forma tradizionale si alternano trascrizioni di sognari, frammenti diaristici, trasposizioni di mappe immaginarie, creando un tessuto che si dichiara, sin dal sottotitolo “Anamnesi di un’assenza”, come percorso di decostruzione. Anche le scelte tipografiche (uso alternato di font nei passaggi visionari, collocazione marginale di note apocrife) contribuiscono a rafforzare la mise-en-scène del disfacimento semantico.
In Germania, dove è uscito con il titolo Die Schwelle der Wüsten per Suhrkamp nella tarda primavera del 2024, il libro è stato oggetto di un acceso dibattito. Il quotidiano Die Zeit lo ha definito “un monumento psicotropico al collasso dell’Occidente mentale”¹, mentre lo scrittore e critico Hans Ulrich Delach in un lungo articolo su Literarisches Echo ha esaltato la capacità di Vismara di “mettere in crisi la stessa possibilità del racconto ostinandosi a raccontare”². Non mancano tuttavia le critiche: alcuni commentatori – come Waltraud Schlinkert sulla Süddeutsche Zeitung – hanno parlato di “barocco narcisistico” e di “labirinto fine a sé stesso”. L’eco presso il pubblico, più che di vendita massiva, è stata di tipo selettivo: il testo è circolato nei circoli universitari e filosofici, venendo adottato in alcuni progetti di lettura comparata fra letteratura e neuroscienze.
Uno dei paragoni più immediati, per densità tematica e struttura metariflessiva, è con “L’atlante delle nebbie” di Lara Montefiori, pubblicato nel 2022, in cui anch’esso un personaggio cerca una figlia perduta fra distorsioni della realtà percettiva e memorie cancellate. Tuttavia, il testo di Montefiori si attiene più chiaramente alla linea della narrativa distopica, mentre Vismara eccede gli schemi per avvicinarsi più alla scrittura mistica dell’assurdo. Similmente, sono stati notati alcuni paralleli tematici con il “romanzo-fiume” di Paolo Cognetti, “La simmetria dei venti” (2023), soprattutto nell’esplorazione dei paesaggi come metafore interiori, ma la scrittura di Vismara resta più allucinata e intrinsecamente filosofica.
Dal punto di vista critico, si possono individuare alcuni punti di forza evidenti. Primo fra tutti la radicalità del tentativo: Vismara rifiuta non solo la forma classica della narrazione, ma la sua stessa funzione, insistendo sulla sua impossibilità come atto politico e spirituale. Il romanzo si fa assimetria, specchio infranto di un’epoca incapace di narrarsi, esplorando ciò che accade quando le mappe dell’identità collassano. Al contempo, il libro è straordinariamente denso di immagini potenti: il “deserto mobile” che perseguita Giacomo nei sogni, l’università abbandonata dove Livia forse teneva corsi sulla “semiotica del silenzio”, le città baluginanti appena oltre la soglia dell’occhio umano.
Fra i limiti, emblematica è la scarsa accessibilità del testo. Sebbene non si possa parlare di elitismo compiaciuto, è chiaro che Vismara scrive per un lettore già avvezzo ad attraversare testi filosofici e narrativi di alta complessità strutturale (si pensi a Giorgio Manganelli o a António Lobo Antunes). Questo rende l’opera potentemente evocativa per alcuni, ma percepibile come ermetica o esoterica da molti. Inoltre, una certa ripetitività dei motivi onirici, sebbene giustificata dall’impianto, rischia talvolta di appesantire un ritmo già gravato dal suo stesso intento speculativo³.
Un cenno va infine riservato alle implicazioni filosofiche del testo. “La soglia dei deserti” si può leggere anche come una critica feroce alla logica della rappresentazione occidentale, che ha costruito deserti nel tentativo di adornare mappe. In questo senso, Vismara sembra appoggiarsi a una lettura destrutturativa del linguaggio, ispirandosi ai concetti derridiani di différance, e alla correlativa dissoluzione dei centri del significato⁴. Tuttavia, nel cuore stesso del testo sembra persistere una speranza: quella che dalle rovine di un linguaggio scoppiato possa nascere la possibilità di una forma ulteriore di esperienza, forse silente, forse solo intuita.
In conclusione, “La soglia dei deserti” si presenta come un’opera coraggiosa, visionaria, talora ieratica ma mai banale. Nel panorama della letteratura italiana del 2024 si distingue per ambizione, profondità filosofica e sapienza linguistica. Non è un romanzo per tutti, né pretende di esserlo; ma lascia una traccia significativa là dove arriva. Seppur catalogato come narrativo, il libro merita letture plurime, da quella estetica a quella epistemologica, fino a un’indagine spirituale non dissimile da quella che coinvolse le grandi prose speculative del Novecento europeo.
Il suo impatto probabilmente non sarà quello di un bestseller, ma piuttosto di un codice che decifrerà silenziosamente le nevrosi del nostro secolo – descritto da Vismara non tanto come apocalisse, quanto come auto-cancellazione memetica. A lettura ultimata, resta una sensazione difficile da nominare: non comprensione, ma soglia.
A cura del Monaco del Libro – Dipartimento di Filosofia del Monastero della Falena Lunare
linguaggio, immaginazione, decostruzione, soglia, metafisica, introspezione, cartografia interiore
—
¹ Die Zeit, “Ein Meisterwerk der Auflösung”, recensione del 12 maggio 2024.
² Delach, H. U., “Zwischen Licht und Sprache: Andrea Vismaras literarische Ontologien”, in Literarisches Echo, giugno 2024.
³ Si veda il capitolo XV, “L’eco del sonno”, dove l’insistenza onirica rischia di sfumare nel manierismo.
⁴ Cfr. Derrida, J., “La différance”, in Marges de la philosophie, 1972.