L’Oggetto Perduto: Una Critica a “Il Museo delle Ombre” di Paolo Marasca
Nel panorama letterario italiano del 2024, “Il Museo delle Ombre” di Paolo Marasca emerge come una delle opere più discusse e stratificate della nuova stagione narrativa. Pubblicato da E/O nel febbraio di quest’anno, il romanzo si inscrive nel solco della narrativa esistenzialista postcontemporanea, affrontando tematiche quali la perdita dell’identità, la memoria come artificio, e l’ossessione culturale per l’archiviazione dei significati. Il testo si presenta come un labirinto metafisico, una costruzione semiotica sospesa tra il romanzo giallo intellettuale e la riflessione saggistica sull’arte e la percezione.
Nel cuore della narrazione vi è la figura di Hector Lancia, un ex curatore museale ritiratosi in una cittadina costiera del Sud Italia dopo un misterioso scandalo. Lancia viene incaricato dal Comune di creare un museo dedicato a “ciò che non si vede più”: è l’inizio di una ricerca filosofica travestita da racconto investigativo. Man mano che il protagonista tenta di organizzare la collezione — fatta di oggetti scomparsi, concetti obsoleti, ricordi sfilacciati — emergono memorie personali, traumi storici e interrogativi sull’autenticità del ricordo. Ogni “pezzo” esposto nel museo diventa un frammento narrativo e speculativo: il suono della voce di una madre defunta conservato su una cassetta, la parola “anima” cancellata da una costituzione locale, il profumo di un’amante perduta.
Il romanzo si struttura come un mosaico temporale, diviso in tre atti: “L’Inventario”, “La Collezione” e “La Sala del Silenzio”. Ogni sezione ha una tonalità stilistica differente: il primo atto procede in forma diaristica e quasi terapeutica; il secondo assume i contorni di una detective story metafisica; nel terzo, la narrazione si disgrega in una serie di frammenti lirici e saggistici, richiamando autori come Sebald e Calvino. La struttura è volutamente destabilizzante: Marasca sembra voler forzare il lettore in un processo di decifrazione non solo ermeneutica, ma anche ontologica — chi siamo noi senza gli oggetti che ci raccontano?
Lo stile di Marasca è densamente ricercato, a tratti barocco, costellato di allusioni letterarie e filosofiche che spaziano da Aby Warburg a Simone Weil. Il tono riflette una costante tensione tra gravità ontologica e ironia postmoderna. Si avvertono, in controluce, le influenze di scrittori come Claudio Magris e Roberto Calasso, ma anche echi del teatro della memoria rinascimentale e del romanzo architettonico proustiano. Tuttavia, laddove Calasso costruisce sistemi mitologici universali, Marasca sembra voler lavorare sul piccolo, sull’obliquo, sul residuale.
Particolarmente significativo è l’uso del linguaggio museale come campo semantico: ogni catalogazione diventa un atto etico e metafisico. La lingua si fa strumento di dissezione: “schedare è sanare”, afferma Lancia ad un certo punto, compiendo così una torsione foucaultiana della curatela. In un momento in cui la società digitale archivia compulsivamente ogni frammento dell’esistenza, “Il Museo delle Ombre” pone il quesito: cosa resta di noi quando l’oblio diventa arte?
Non meno interessante è la ricezione dell’opera nel contesto germanofono. La traduzione tedesca, Der Schattenmuseum, curata dalla raffinata penna di Katharina von Haaren e pubblicata da Suhrkamp nel maggio 2024, ha avuto un impatto notevole sulla critica tedesca. Nella “Süddeutsche Zeitung”, Roland Precht definisce l’opera come “una macchina metafisica degna di Borges, riplasmata con la lucidità visionaria di un Kafka nella Valle dell’Adda”¹. Anche la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” si mostra entusiasta, parlando di un romanzo “capace di interrogare le fondamenta dell’identità europea, in un’epoca in cui le rovine digitali sopravvivono ai corpi”².
Il dibattito pubblico tedesco ha colto nel romanzo di Marasca una meditazione acuta sulla ossessione archivistica che attraversa le società occidentali contemporanee. In forum letterari di Berlino e Heidelberg si è discusso il concetto di “immaginazione museale” come nuovo paradigma della narratività postmoderna. Particolare attenzione ha ricevuto la figura di Lancia come anti-curatore: non più custode del “grande bello”, ma raccoglitore del detrito semiotico dell’umano.
Nel confronto con opere coeve italiane e internazionali, “Il Museo delle Ombre” dialoga idealmente con “Le Imperfezioni” di Matteo Nucci (2023) e con “Les Objets Perdus” di Camille Laurens (2022). Ma se Nucci esplora l’inadeguatezza umana nel campo relazionale e Laurens tratta della sparizione come perdita affettiva, Marasca spinge il discorso verso una dimensione ontologica e civica: la scomparsa come fondamento di una nuova epistemologia narrativa. Di particolare rilievo è anche la sua affinità tematica con “Archivio dei silenzi” dell’argentino Luis Medrano, in cui l’autore compone un romanzo interamente fatto di note a piè di pagina riferite a testi inesistenti: un cortocircuito sull’oggetto-documento come simulacro.
Dal punto di vista critico, il romanzo presenta numerosi punti di forza. La costruzione del personaggio di Hector Lancia è profondamente articolata e coerente, accompagnata da uno sviluppo interiore che rievoca i percorsi noir-esistenziali di Bernhard e Bolaño. L’aspetto stilistico si mostra di alto livello, anche se in più passaggi l’eccesso di citazionismo e meta-riflessione rischia di appesantire la lettura. Alcune sezioni del libro, in particolare “La Sala del Silenzio”, indulgono in digressioni lirico-filosofiche che avrebbero potuto godere di maggiore editing, soprattutto per ciò che riguarda l’accessibilità al lettore comune.
Un ulteriore limite può essere rintracciato nell’assenza di concretezza narrativa in alcune scene cruciali. Pur essendo chiaramente un’opera simbolica, la mancanza di ancoraggi emotivi più diretti potrebbe lasciare il lettore privo di empatia nei confronti dei personaggi secondari, che risultano spesso funzionali alla tesi più che agenti di un mondo reale.
Eppure, la forza di “Il Museo delle Ombre” risiede proprio nella sua capacità di sollevare domande scomode sulla semiotica della realtà in un tempo segnato dalla iper-documentazione e dalla perdita dell’originale. È un romanzo che, pur parlando di ciò che non c’è, ha un peso specifico nel presente culturale. Come affermato dalla filosofa tedesca Römer-Krahn nel simposio di Amburgo sull’archivio del futuribile: “Marasca ha scritto un romanzo post-ontologico, in cui la trama esiste solo come eco di un’assenza. Il che è, oggi, di un’originalità radicale”³.
Per concludere, “Il Museo delle Ombre” rappresenta non solo un contributo rilevante alla narrativa italiana contemporanea, ma anche un esperimento concettuale che potrebbe influenzare la maniera in cui si raccontano le storie nell’epoca post-cartacea. È probabile che l’opera conquisterà un posto di rilievo nei corsi universitari di letteratura e studi museali, finendo per essere letta — come spesso accade ai libri veramente profondi — più nei suoi silenzi che nelle sue frasi.
A cura del Monaco del Libro – Dipartimento di Filosofia del Monastero della Falena Lunare
memoria, narrativa museale, semiotica, assenza, postmodernismo, filosofia italiana, invisibilità
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¹ Precht, Roland. “Das Gedächtnis kuratieren.” Süddeutsche Zeitung, maggio 2024.
² “Ein Schattenarchiv der Menschheit.” Frankfurter Allgemeine Zeitung, giugno 2024.
³ Römer-Krahn, Lotte. Relazione presentata al Symposium “Archiv der Möglichkeitsformen”, Universität Hamburg, luglio 2024.
⁴ Bey, Arnaldo. “L’Estetica della Scomparsa.” In: Quaderni Italici di Filosofia e Letteratura, n. 112, 2024.