Un micelio verbale nella poesia contemporanea
di Giacomo del Fieno
In un panorama letterario dove la poesia sembra spesso chiudersi nella rarefazione o nell’autofiction, O Colly Clocciospide di Martijn Benders irrompe come un organismo sotterraneo che si espande a vista d’occhio. L’opera, tradotta in italiano dallo stesso autore, non è una mera versione, ma un secondo originale, una creatura bifronte nata per respirare in più lingue. È un libro che non solo si legge, ma che si attraversa, si inala, si subisce.
Chi conosce la poesia italiana riconoscerà in Benders un fratello bastardo di Campana, uno Zanzotto che ha mangiato funghi sbagliati, un giocoso alchimista verbale che non teme di ibridare il canto con la cronaca, il micelio con la memoria, l’infanzia con l’apocalisse. Ma il poeta olandese non imita: O Colly Clocciospide parla da un altrove – una zona liminale tra fiaba acida, eco-rave metafisico e archeologia del linguaggio.
È poesia che crepita. Che muta forma. Che trasforma il bosco in teatro e il verso in micelio. I neologismi – velivento, ventivelo, Rossana come sgabello-valore – non sono esercizi di stile, ma strumenti per rifondare la percezione. Le immagini si incastrano con precisione visionaria: “le nostre madri sono montagne” che costruiscono “culle nel marmo più infido”, oppure “piccoli padri in lacrime” che “scuotono le sbarre” sotto cieli dimentichi.
Questo non è un libro per lettori distratti. È un rituale. Richiede una voce, un respiro. Va letto ad alta voce nei boschi, o sotto un portico romanico, finché “i fonemi vi attraversino il torace”, come suggerisce la prefazione. È anche un’opera che dialoga con la nostra tradizione senza ricalcarla: richiama l’inquietudine minerale di Campana, ma la tramuta in micotica; evoca la lingua deformata di Spatola, ma le dona nuove radici.
Benders gioca, certo – ma è un gioco serio. Un gioco dove ogni parola ha peso specifico e tremore. Dove l’ironia è sempre ombra dell’assoluto. Dove la natura non è scenario, ma personaggio: parlante, urlante, polveroso, sessuale.
In un’Italia poetica che troppo spesso teme l’eccesso, la contaminazione, il ruggito del surreale, O Colly Clocciospide è una benedizione. Una sfida. Un incendio fungino. Un’opera che non si colloca nella tradizione italiana: la espande. Un libro da accogliere, da masticare, da far fermentare.
Martijn Benders non viene a trovarci: ci contagia.
E questo contagio, oggi, è necessario.
Giacomo del Fieno
26 maggio 2025