Alcuni riassunti concisi di recensioni apparse qua e là nel corso degli anni sul mio lavoro.
Dopo Nachtefteling, ho smesso di raccoglierle, perché — ad essere sinceri — l’intera cultura della recensione ormai mi ripugna. Ma per chi è interessato a queste cose, ecco gli archivi. Da allora ho pubblicato circa sei libri che non sono inclusi qui, e una cupa banda di sostituti amanti di Gesù fa del suo meglio per mantenere tutto il più conservatore possibile nel mio paese — il che significa: nessuno spazio per lo strambo.
Nachtefteling
Chissà, forse un giorno la vera Nachtefteling accadrà davvero. In ogni caso, ci resta un libro magistrale: la flirtazione di Benders con la follia, un’opera ricca che nasconde molto più significato e coerenza di quanto si possa cogliere a una prima lettura; ma in cui c’è anche moltissimo da vivere e godere — una casa stregata, una montagna russa, un museo di guerra, una foresta da fiaba, un giardino umano, una biografia e un planetario, tutto in uno. Un incubo vertiginoso.
— Alexis de Roode, Goodreads
Chiunque voglia sperimentare fin dove può essere spinta la lingua in senso artistico dovrebbe leggere la poesia di Martijn Benders (1971). Ogni poesia ti costringe a resettare le tue abitudini di lettura, e ogni tema mette alla prova la tenuta dei tuoi stessi principi. Benders sperimenta soprattutto con le immagini e la forma (per esempio inclinazioni in corsivo, frasi incompiute e impaginazioni sorprendenti). In un caso usa addirittura un altro alfabeto! Questo solleva interrogativi sulla chiarezza della trasmissione. Tuttavia, spesso forma e contenuto coincidono: il gioco linguistico è il messaggio e viceversa.
“Lo steroide dell’amore a grappolo // agita le sue coincidenze // E se non è amore allora è // DEBOM // DEBOM // DEBOM // DEBOM // DEBOM // Che ci unirà.”
E poi all’improvviso Benders ti sacrifica di nuovo agli elementi lirici tradizionali, introducendo note presumibilmente autobiografiche, come su un nonno e una nonna. Questa poesia scattante rende omaggio alla trasformazione, all’unicità, alla libertà — in breve, alla vita nelle sue manifestazioni più ampie e profonde!
— Albert Hagenaars, NDB Biblion
Le poesie sono scritte in modo giocoso e fluente. Non si ha mai la sensazione che inciampino o che qualcosa non vada. A volte sembrano inventate lì per lì, il che le rende geniali. Altre sorprendono e commuovono, ma si percepisce anche la tristezza. Qualche volta fanno persino ridere.
— Anneke van Dijken, Hebban
(‘kagi / dana / mage / shavi’) — Sembra uscito da un vero grimorio, e se significhi qualcosa resta un mistero. Scrivilo sulla pelle scorticata di un rospo catturato durante la luna piena, poi brucia la pelle e mescola le ceneri in un bicchiere di whisky scadente da bere tutto d’un fiato. Descrivi la visione che ne deriva, e allora l’Incubo verrà. Fino ad allora, il lettore dovrà accontentarsi di questa raccolta che stimola i sensi e tortura il cervello come dovrebbe fare una buona poesia.
— Lauran Toorians, Brabant Literair
E così ci troviamo per alcuni secondi fuori dal tempo. Grazie al ‘disordine di parole’ meticolosamente orchestrato che rende il nostro soggiorno nella Nachtefteling di Martijn Benders estremamente piacevole, come suggerisce la copertina progettata dal poeta stesso. Non c’è alcuna inclinazione, nemmeno minima, a gettare il libro nella bocca di Holle Bolle Gijs. Se questo è il preludio, sono molto curioso di vedere come sarà il parco poetico vero e proprio.
— Ernst Jan Peters, Meander Magazine
Fliermans Passage
“Benders riesce a garantire un’altissima densità di battute: in ogni pagina c’è qualcosa che fa ridere sotto i baffi.”
— La fidanzata di Thierry Baudet, Volkskrant
Vertiginoso. È una buona parola per descrivere il primo (o forse unico, ma spero primo) romanzo di Martijn Benders. Oggi è sempre più difficile per tante persone leggere un libro intero. A queste persone consiglio Fliermans Passage, perché succede tutto, sempre, e mai ciò che ti aspetti. Lo leggerai tutto d’un fiato, o in due round al massimo.
— Marc van Oostendorp, weblog
“Dio Martijn, a un certo punto a metà libro pensavo di impazzire. Ma ho continuato a leggere e tutto sembra trovare il proprio posto. Ho letto alcuni capitoli davvero folli, assurdi, e ho riso. Solo altri 2 o 3 capitoli e non sarò ubriaco. Il che non si può dire dei personaggi del tuo libro.
Ho appena finito il libro e mi sento strano. Un finale così bizzarro. Non dovrò mica rileggerlo per capire cosa è davvero successo, vero? Comunque, l’epilogo era forte.
Ci sono due possibilità: o sono stato ingannato nel modo più ingegnoso possibile e Benders è un genio, oppure la vita non ha alcun senso e Benders è un ciarlatano.”
— Freek Rupert, Facebook
“Molto diverso da quel gruppo Ikea di fanatici delle scuole di scrittura. Una combinazione particolare di spavalderia e modestia, per niente olandese. Che festa dev’essere stata, inventarselo tutto e lasciarlo esplodere.”
— Emma Burns, Facebook
Come qualsiasi persona con un briciolo di senno, leggendo Flierman’s Passage ho sentito regolarmente il bisogno di scagliare il libro con forza da parte. Preferirei passare il mio tempo leggendo un libro migliore. Ma non esiste un libro migliore di Flierman’s Passage, quindi ti rimetti i pantaloni e provi a leggere qualche capitolo in più.
Non perché sia piacevole trovarsi in quella terra di nessuno tra Cremer e Camus, dove l’autore ha parcheggiato la sua testa pensante, ma innanzitutto perché non vuoi farti riconoscere.**
Tra l’altro, probabilmente non sa nemmeno scrivere davvero, questo Martijn Benders (Mierlo, 1971). Le frasi sorprendenti che compongono ogni pagina di Flierman’s Passage danno tutte l’impressione di essere colpi di fortuna. “Se lasci una scimmia martellare a lungo su una macchina da scrivere, prima o poi qualcosa di pubblicabile ne uscirà”, deve aver pensato l’editore Van Gennep — e questa visione pessimistica ha effettivamente prodotto, in questo caso, un capolavoro.
Ma fare tutto questo baccano per questo.
La recente puntata di De Wereld Draait Door, in cui Benders è stato applaudito da mezza istituzione culturale olandese, è stata deplorevole, e non è nemmeno riuscito a dare il meglio di sé a Zomergasten. Sembrava che l’intervistatore non osasse più porre domande. Ma vabbe’, domani si incarta di nuovo il pesce e si parla d’altro.
4 stelle su 5. Questa recensione ti è stata utile? [Sì] [Assolutamente].”
— Bart van der Pligt, Facebook
“Ciao Martijn, mi sono goduto Fliermans, soprattutto la scrittura fuori dagli schemi; mi ha dato respiro. L’ilarità, l’ipotermia, mi hanno reso felice. Mi ha ricordato Kamagurka e David Lynch. Continua a scrivere (come se te ne importasse qualcosa). L’uso dell’oracolo dantesco è stato un tocco notevole.”
— Rutger van Wel, Facebook
“Ho letto parecchio nella mia vita, e non solo romanzi da cucina e simili. Mi dà la stessa sensazione che ho avuto con Tom Lanoye, l’ho lasciato a un certo punto perché proprio non riuscivo più ad andare avanti. Poco racconto, molte volgarità e linguaggio sprezzante…”
— Mieke Robben, Facebook
“Si legge come un treno. Benders esplora i limiti come nessun altro, solo per poi superarli senza pietà. E lo fa con un solo obiettivo: ridimensionare l’idea stessa di ‘autore’ e liberarla da tutto il teatrino. Molto rinfrescante. E ho anche riso di gusto. Di tanto in tanto mi veniva in mente La Congiura degli Imbecilli di John Kennedy Toole — e puoi prenderlo come un complimento.”
— Rob Zeeman, Facebook
“Semplicemente invidiabilmente bello.
Non ho davvero nulla da dire in contrario, e ad essere onesta: è la prima volta dopo tanto tempo.
E mi ha fatto anche scrivere parecchio.
Il tuo umorismo è esattamente il mio.
Una scena mi ha fatto ridere ad alta voce.
Anche la scena di sesso è magnifica.
Hai uno stile meraviglioso, pieno di metafore azzeccate e altre invenzioni.
Mi ha catturata fin da subito.”
— Iris Houx, email
**Proiettare Dante negli occhi di un cane. Fa venire le lacrime agli occhi.
Chapeau anche per tutti i collegamenti, tanto veri quanto assurdi allo stesso tempo.
Flierman’s Passage evoca emozioni — non un’emozione catartica o un lutto elaborato, ma qualcosa di più complesso. Chi vuole scrivere una recensione è dunque costretto a trovare associazioni personali, oppure rifugiarsi in una forma di critica socialmente accettabile. È già un segnale di lettura positivo — e un avvertimento senza sconti per il lettore. 🙂
Una recensione è anche, emotivamente parlando, una pluralità di contraddizioni. Mi viene quasi l’ansia quando mi si chiede, più o meno direttamente, di scriverne una ;-).
Quello che mi ha colpito è che non riesco mai a finire una serie su Netflix, eppure questo libro l’ho finito in due sessioni, e sospetto di aver capito qualcosa (dell’attualità fuori dal tempo) che avrei perso se avessi guardato quella serie.
Sì, ora devo capire cosa sia questo “qualcosa”… (da quando è importante, leggendo un libro?).
Le emozioni possono ostacolare la comprensione quando si trasformano in massime o frasi fatte — allora diventano visibili al lettore, come una fuga dai sentimenti.
Almeno così la interpreto io — proiettando, appunto.
Lo stile di Flierman’s Passage è incalzante, ma i collegamenti non sono sempre immediati come i riferimenti espliciti nel testo. Masticare, masticare… per fortuna la ripetizione tematica del libro è prima meditativa, poi, dopo aver approfondito il primo livello di lettura, rivela uno spiraglio di ciò che la storia vuole dire.
E così… questa era una zuppa di associazioni che probabilmente non verrà nemmeno considerata una recensione (il che è la cosa buffa delle recensioni… evocano immediatamente il bisogno di una ‘recensione della recensione’, e lì si scivola subito nel battibecco, letterario o meno).
Non si può nemmeno chiamarla ‘reazione’, sarebbe riduttivo per l’autore del libro e della recensione.
Ma se la chiamiamo ‘interazione’, siamo ultra postmoderni.
E se optiamo per ‘recensione’, si può cavarsela con qualche stellina.
Un lettore che si rispetti recensisce di persona, perché la voce del lettore è sempre coinvolta, dopotutto — una delle lezioni postmoderne da apprezzare :-)).**
— Lotte van Lith, Facebook
Lippenspook
Benders si prende gioco delle poesie, della poetica e di sé stesso. Colpisce le vacche sacre delle opinioni consolidate su cosa dovrebbe essere la poesia, ma tira anche la sedia da sotto il proprio sedere: “Quando sono sul palco penso sempre: che ci faccio qui? / Il mio posto è sotto un tavolo da biliardo in un bar squallido.”
Si presenta come l’anti-poeta per eccellenza (“Non ho mai curato nessuno con le poesie”), ma si dimostra più poeta di dozzine di altri che si definiscono tali. È assolutamente originale, sia nel modo in cui guarda il mondo (“Hai mai notato / quanto le formule chimiche somiglino a un’orgia?”) sia nell’esprimere osservazioni affilate: “La luce lunare pendeva come uno straccio unto tra gli alberi / sull’erba giaceva un pigro escremento immangiabile / verde che sognava le mosche.”
Molte delle sue poesie sbraitano, mordono, imprecano, ma ce ne sono anche di incomprensibilmente assurde o che fanno ridere a crepapelle (“Faccio una fatica tremenda con le verdure-titolo.”). Alcune sono forse involontariamente, ma inesorabilmente, tenere.
L’intera gamma delle emozioni umane sfila in questa raccolta sorprendente e deliziosa. Non importa quale poesia si scelga di salvare: ognuna merita di essere letta, riflettuta, e da ognuna si può trarre qualcosa di diverso. E soprattutto, se ne può godere. Benders è un talento straordinario e assolutamente unico.
— Hettie Marzak in “Sword Magazine”, 2016
Questa non è poesia che si preoccupa di una recensione su una rivista come Awater, dove i colleghi si recensiscono a vicenda da retroterra e poetiche spesso molto diversi.
Questa è poesia che tiene il lettore con il fiato sospeso, perché non ha idea di cosa porterà la pagina successiva.
— *Pim te Bokkel in “Awater” su Lippenspook
Ancora e ancora riesce a confondere e affascinare il lettore, con una svolta inaspettata nel linguaggio o nella situazione. In breve: poesia colma di colpi di scena.
La cosa straordinaria è che le sue poesie rimangono impresse, convincono, continuano a risuonare e formano un insieme coerente, pur mantenendo quell’elusività.
Benders prende la lingua per la collottola, la scuote e poi la riorganizza a modo suo. Lo fa con cura estrema, eppure non sembra mai artificioso.
Al contrario, ha qualcosa di quasi trascurato, spontaneo.
Con Lippenspook, Benders ha consegnato una vera gemma poetica.
— Sander Meij su “Passionate Platform”
Wôld Wôld Wôld
Posso già dire che sarà un capolavoro.
Un miscuglio allucinogeno, forse esplosivo, di poesie solidissime, scoperte bizzarre e attacchi clowneschi all’intero panorama letterario olandese.
— Alexis de Roode su WWW
Martijn Benders si rivela un maestro della satira.
È, attraverso tutti i suoi strati, un libro straordinariamente arguto.
— Willem Thies su WWW
Con pochi tratti grezzi, Benders riesce a tratteggiare un’intera storia che puoi sentire, vedere e annusare.
Come solo i grandi sanno fare.
Sei un focking buon poeta, Martijn.
— Ton van ’t Hof su WWW
Nel frattempo, è lirico, satirico, estatico e divertente.
La raccolta è un’esplosione di linguaggio, il lettore (Marc) non si annoia nemmeno per un attimo.
Ma ciò che colpisce di più è il modo in cui Benders mostra quanto sia strana la “propria cultura” che ora domina il mondo poetico — e anche quel mondo un po’ più grande chiamato Paesi Bassi.
Wôld Wôld Wôld
Penso alla raccolta Wôld, Wôld, Wôld! di Martinus Benders come a tutto ciò che si può pensare di qualcosa. Inclusi, ma non limitati a: infantile, esuberante, scontroso, sublime, con i piedi per terra, celestiale, vendicativo, classico, contemporaneo, ribelle, fuorviante, sgargiante, geniale, originale, volgare, contemplativo, sommesso, turbolento, umoristico, contraddittorio, audace, fallimentare, populista, istintivo, cafone + tutti gli altri aggettivi consigliati dalla Società di Lingua Onze Taal. In breve: una raccolta assolutamente unica nel panorama della poesia in lingua olandese.
— Marc van Oostendorp su Neder-L
Un’eccellente raccolta. Benders è un poeta che ama prendere in giro il proprio mestiere, ma lo fa con una verve tale da dimostrare di cosa si tratta davvero la poesia: le parole giuste al posto giusto, un ritmo potente, spesso immagini folgoranti, e una voce che trasmette costantemente un’irritazione e una disperazione di fondo, come se ciò che deve essere detto fosse ancora una volta sfuggito per un soffio.
— Olaf Risee, Facebook
Mi dispiace, Benders, ma “tu ci appartieni, proprio come la critica.”
— Piet Gerbrandy, De Groene Amsterdammer, agosto 2014
Dopo sei anni, la sua seconda raccolta viene pubblicata da Van Gennep, Wat koop ik voor uw donkerwilde machten, Willem. Non ha fatto alcuna concessione all’originalità.
— De Volkskrant, 23 agosto 2014
Wat koop ik voor jouw donkerwilde machten, Willem
Martijn Benders ha esordito nel 2008 con la raccolta Karavanserai. La sua seconda raccolta, Wat koop ik voor jouw donkerwilde machten, Willem, è stata pubblicata nel 2011 da una casa editrice fondata da lui stesso. Un’opera ancora più ampia. Benders è uno dei pochi poeti nei Paesi Bassi che non ha paura di nessuno. Per questo è stato ignorato quasi ovunque. I poeti olandesi sono codardi; si sorvegliano a vicenda, a meno che non siano troppo occupati a guardare sé stessi. Un poeta che ignora questo rituale viene per definizione non apprezzato. Non serve nemmeno leggere uno come lui. Ma chi si prende la briga di leggere davvero Martijn Benders e lo giudica esclusivamente sulla poesia, sarà piacevolmente sorpreso. Benders è uno dei talenti più straordinari degli ultimi tempi, anche se i supervisori che distribuiscono i bollini del talento, e che quindi non hanno tempo per leggere nulla al di fuori del proprio cortile, la pensano diversamente.
— Gerrit Komrij, Calendario di Poesia, 2012
Benders convince con poesie ostinate, fortemente espressive, che sembrano scaturire da una miscela singolare di spavalderia, allegria e un’indifferenza quasi provocatoria — anche se c’è chiaramente anche un lato sensibile. Le poesie mostrano regolarmente salti di immaginazione inaspettati, persino bizzarri, che sfiorano l’assurdo, pur rimanendo sempre ancorati alla realtà.
— *Joop Leibbrand su Meander
Com’è possibile che un flusso disordinato e continuo di poesie, apparentemente scritto senza piano né scopo, senza struttura né direzione, possa risultare così affascinante? È difficile da spiegare. “Un poeta promettente, che attinge da un corno dell’abbondanza”, scriveva Rob Schouten su Awater a proposito di Karavanserai. Se questa seconda raccolta manterrà quella promessa agli occhi di Schouten non lo so; ho il sospetto che Martijn Benders non abbia affatto l’intenzione di mantenere promesse. Scrive per sé stesso — e questa nuova abbondanza è, senza dubbio, più che sufficiente.
— Abe de Vries, Studio Oude Bildtzijl
Ogni poesia ha qualcosa di fresco, uno scintillio, anche se dura solo un attimo e svanisce se lo si guarda troppo da vicino. Il risultato è una raccolta che tiene e non delude. Fantastica, in una parola.
— Samuel Vriezen, blog personale
Karavanserai
Con Karavanserai, Martijn Benders è il diavolo linguistico del quartetto prescelto.
— Arie van den Berg, NRC, 2009
Le poesie di Benders sono metaforiche in senso visivo. Per lui, le orecchie sono “una coppia di ali rattrappite / accanto alle nostre teste.” Sviluppa queste metafore con ostinazione. Così, la musica esiste affinché le nostre orecchie non collassino, ora che non possiamo più spiegare quelle ali. Simili svolte rivelano una solida capacità poetica. Martijn Benders ha qualcosa che pochi poeti possiedono: coraggio. (…) A volte è davvero divertente, quando fa esplodere con maestria un gospel o fa intingere a Cupido le sue frecce nel muschio mentre tutte le ragazze girano con giubbotti antiproiettile.
A tratti, suona come un Oosterhoff un po’ meno raffinato — un paragone che non ho mai fatto con nessun altro poeta.
— Erik Linder, De Groene Amsterdammer
Un poeta promettente, che attinge da un corno dell’abbondanza.
— Rob Schouten, Awater
Karavanserai di Martijn Benders è una delle raccolte di poesie più notevoli che ho visto pubblicare in olandese negli ultimi anni. Che Benders sia un derviscio nella sua poesia, non oso affermarlo. Ma a volte mi ha ricordato Borges: fortemente narrativo, pieno di osservazioni folgoranti che suscitano meraviglia, curiosità e una malinconia profonda. Ma Borges è più visivo. Ti prende per mano e ti fa camminare per Buenos Aires, fino alla fine. Con Benders devi sempre attraversare, camminare all’indietro, inciampare, lasciare che un odore ti entri nel naso. E quando cadi in faccia mentre leggi, la poesia si capovolge. Forse è davvero un derviscio? In ogni caso — nonostante la discontinuità delle immagini — mi piacerebbe che Benders si prendesse con orgoglio gli epiteti che ho attribuito a Borges. Spero che questo continui a crescere, così che tra dieci anni i bambini si picchieranno a colpi delle sue frasi.
— Jo Willems, blog personale
Non fare l’errore che ho fatto io una volta: / lascia la scrittura di poesie ai poeti. È in “La Luna” ed è, ovviamente, una posa. Benders ha tutto il diritto di definirsi poeta. Nel suo primo ciclo fa sferragliare la lingua, i concetti collidono con i significati che di solito attribuiamo loro — e così ci conduce in un mondo insospettato dove vediamo le cose diversamente.
— Pascal Cornet, Poeziekrant
Ecco un poeta che sa cosa vuole ottenere con la sua poesia e come intende farlo. E ci riesce. Le sue immagini forti e precise lasciano un’impressione duratura, e ne scorre così tante davanti agli occhi del lettore da provocare quasi una vertigine.
Si potrebbe quasi dire che Benders sovraccarichi le sue poesie di immagini, tanto più che si tratta di immagini capricciose e sorprendenti — ma i testi giungono sempre a una conclusione ben riuscita, e lo fanno con apparente facilità.
— Edwin Fagel su Karavanserai, Recensent
In questo senso paragonabile a L’enciclopedia delle grandi parole (De encyclopedie van de grote woorden) di Mark Boog, che condensa anch’essa grandi temi.
Boog lo fa bene, Benders lo fa meglio. Più brillante. Più vitale.
— Olaf Risee su Karavanserai, In Letterland
Critical reception in Italian:
Ginneninne in italiano è un’opera visionaria che oscilla tra poesia e meditazione filosofica. Si inserisce nella tradizione ermetica di Ungaretti, nello stile visionario di Moresco e nella malinconia frammentata di Zanzotto.
Resta aperta la domanda su quanto la traduzione sia stata influenzata dalla fonetica e dalla sintassi dell’italiano e quale sia il quadro filosofico che l’autore aveva in mente durante la scrittura. Il testo sembra richiedere un’ulteriore interpretazione e collocazione, grazie alla sua lingua ricca e alle immagini enigmatiche che lo rendono un’opera rara nella letteratura contemporanea.
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