Un’opera visionaria che sfida i confini della poesia
Ginneninne di Martijn Benders è un libro che si colloca in una dimensione poetica assolutamente peculiare, al crocevia tra sperimentazione linguistica, surrealismo visionario e un ritorno alle radici più oscure e rituali della parola. Benders non è solo un poeta, ma un evocatore di mondi che si muovono tra il fantastico e il grottesco, tra il lirismo e la frammentazione del senso. La sua scrittura è pervasa da un’energia selvaggia, un torrente linguistico che travolge e riforma continuamente il proprio paesaggio.
Dove si colloca nel panorama della poesia italiana?
Nel contesto della poesia italiana contemporanea, Ginneninne rappresenta un’opera estranea a qualsiasi filone convenzionale. Se dovessimo tentare un parallelo, potremmo rintracciare alcuni echi di Dino Campana nella sua violenza visionaria, di Andrea Zanzotto nella manipolazione estrema della lingua, o di Emilio Villa nella sua tendenza a creare un tessuto poetico che sfida la decifrabilità immediata. Tuttavia, Benders non è un derivativo: la sua opera è totalmente autonoma e risponde a un impulso poetico che ha radici più arcaiche, quasi sciamaniche.
Il riferimento costante a figure mitiche, il mescolarsi di elementi popolari e sacri, la distorsione del linguaggio fino alla sua dissoluzione, tutto questo fa di Ginneninne un’opera che, più che inserirsi nel canone italiano, lo sfida dall’esterno. Se fosse stato scritto in Italia, avrebbe trovato spazio nei territori più radicali della poesia sperimentale, accanto a opere che si muovono tra il suono e il senso, tra la glossolalia e la semantica spezzata.
Le caratteristiche essenziali della poesia di Benders
1. Un linguaggio metamorfico e inclassificabile
Uno degli aspetti più affascinanti di Ginneninne è la capacità di Benders di piegare la lingua a un movimento costante di trasformazione. Le parole si combinano in modi inaspettati, creando neologismi, sovrapposizioni di significato, effetti di spaesamento che ricordano il surrealismo verbale di autori come Joyce o Tzara.
Prendiamo versi come:
Gimmel, il gelataio, un uomo Kanga, un Koekoelian. Ai bambini qui non dice molto. Loro preferiscono chiamarlo Grumorfa.
Qui, la costruzione di un universo immaginario passa attraverso la creazione di termini inesistenti (Koekoelian, Grumorfa), che sembrano evocare una sorta di linguaggio fiabesco, ma con un fondo oscuro e enigmatico.
2. L’elemento rituale e ancestrale
La poesia di Benders è permeata di una sacralità pagana, in cui il tempo lineare si dissolve e si entra in un ciclo mitico e ripetitivo. Le immagini di antenati, spiriti, animali totemici e figure arcaiche ricorrono con insistenza, dando al libro una struttura che sembra più un viaggio iniziatico che una semplice raccolta di poesie.
Nonno. Un lungo ordito di antenati batte i piedi attorno a lui, morti che danzano il nono in cerchi concentrici.
Questa dimensione circolare del tempo richiama il senso della poesia orale e sciamanica, in cui la parola non è solo strumento di rappresentazione, ma di evocazione e trasformazione.
3. L’irruzione della materia e del corpo
Lontano da qualsiasi astrazione, la poesia di Benders è profondamente fisica. Il corpo, la carne, il decadimento, gli elementi naturali come fango, sangue, ossa e cenere attraversano tutto il testo con una forza quasi brutale.
Padre. Ai piedi del letto marcisce la sua mazza da hurling, fango dorato sul ferro della lama, calce, secca come il mio cuore.
Qui, il legame tra la decadenza della materia e la memoria personale si fa evidente: il passato non è mai un’idea astratta, ma qualcosa di tangibile, che si deposita nelle cose e le corrode.
Quanto è importante questa opera?
Ginneninne è un libro di una potenza rara, e anche se non rientra nei canoni della poesia italiana, il suo impatto potrebbe essere straordinario per chi è disposto ad accoglierne la sfida. La sua importanza risiede nel fatto che rappresenta un modo di fare poesia che in Italia è stato in parte dimenticato: quello che osa spingersi oltre la logica, che si avvicina al confine tra poesia e rito, tra parola e suono.
È un libro che potrebbe essere letto accanto a I canti orfici di Campana, accanto alle sperimentazioni di Villa, o addirittura accanto alla poesia sciamanica di tradizioni non europee. Se dovesse avere un impatto sulla poesia italiana, sarebbe quello di risvegliare un’energia sopita, di ricordare che la poesia non è solo riflessione, ma anche possessione, delirio, materia vivente.
Conclusione
Martijn Benders con Ginneninne ha scritto un’opera che non si lascia ingabbiare da alcuna categoria. È poesia che brucia e si rigenera, che crea il proprio lessico e la propria mitologia, che mescola il fiabesco con il brutale, il rituale con il gioco.
Non è un libro per chi cerca risposte facili o per chi vuole una poesia rassicurante. Ma per chi è disposto a farsi trascinare in un vortice di immagini, suoni e metamorfosi, Ginneninne è una delle opere più radicali e necessarie che si possano leggere oggi.
⭐⭐⭐⭐⭐ (5/5)
Chiatto Geppetti